15 Giu APPROFONDIMENTO : Perchè fare piani attuativi subito aiuta tutto il processo di ricostruzione
Perchè fare piani attuativi subito aiuta tutto il processo di ricostruzione
Fra i nostri bellissimi Centri Storici minori, i borghi colpiti dai terremoti e dalle altre calamità naturali sono la sfida più grande che oggi abbiamo e che l’Italia deve vincere a tutti i costi per mantenere la sua identità geografica.
Nel passato le ricostruzioni post-sisma hanno quasi sempre interessato territori a insediamento sparso, spesso centri antichi e poco abitati e se analizziamo le storie delle ricostruzioni di successo, sono convinto che potremmo usare i principi che le hanno guidate come modello sia per gli interventi nei borghi del centro Italia colpiti dall’ultimo sisma sia per le rigenerazioni dei Centri Storici minori in degrado.
Per esempio, la ricostruzione dei Centri Storici minori del Friuli si è basata su alcuni principi che hanno dimostrato forza ed efficacia quando sono stati mutuati, tutti e con minime varianti, in altre esperienze come, p.es. quella di Umbria-Marche del ’97:
Centralità degli Enti Locali. Molto veniva gestito a livello comunale con forte supporto della Regione; fondamentale era il ruolo della Segreteria Generale Straordinaria, assimilabile oggi alle strutture commissariali istituite per i recenti terremoti.
“Dov’era com’era”. Il principio stabiliva la conservazione dell’esistente – nella maggior parte borghi e paesi di edilizia povera – rifiutando così delocalizzazioni e “new towns”, innovando solo a livello di piano attuativo e di progetto edilizio.
Si ricostruisce tutto. Erano tempi di abbondanza; lo Stato finanziò regolarmente la ricostruzione e questa interessò tutti i centri, anche insediamenti montani già in corso di abbandono.
Comparto obbligatorio di intervento. E’ stato il fulcro della ricostruzione dei paesi. Il piano particolareggiato di comparto era obbligatorio e la sua estesa applicazione (in Friuli 350 piani particolareggiati in un paio d’anni) generò sinergie ad ogni livello: controllo unitario del progetto con la partecipazione diretta degli interessati, modifiche necessarie dell’assetto proprietario, il ridisegno delle aree pubbliche, un convenzionamento urbanistico regolante ogni rapporto economico e di diritto, effetti a dettaglio edilizio ed architettonico.
Carattere solidaristico dei risarcimenti pubblici. E’ stato fondamentale. Ha determinato un carattere progettuale anche per il contributo pubblico: infatti non si è trattato di risarcire il solo volume distrutto sulla base dei rilievi dei danni ma si è anche tenuto conto del rapporto fra il bene distrutto e la sua ricostruzione mediato dal progetto di comparto, della stessa composizione del nucleo familiare e delle intenzioni di ricostruzione, così favorendo sia il diritto alla casa sia l’autodeterminazione delle scelte dei proprietari.
Ricomposizione fondiaria/proprietaria. E’ stata la conseguenza necessaria del progetto di comparto obbligatorio e del carattere solidaristico dei contributi. Ha dato flessibilità alle scelte urbanistiche, superando le rigidità dei confini proprietari e privilegiando la modernizzazione delle città. Il lato negativo è stata la mancanza di una legislazione speciale per questi aspetti che hanno richiesto decenni per essere perfezionati.
Legge speciale. Il governo di allora diede carta bianca al commissario (Zamberletti disse: “L’articolo che stabiliva i miei poteri lo scrisse personalmente Cossiga e diceva: <Il commissario agisce in deroga a tutte le leggi ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato>”). Una vera zona franca burocratica, in un periodo storico in cui non erano ancora apparsi i decreti Bassanini. Il commissario, a sua volta, investì di quei poteri i sindaci che diventarono funzionari delegati a capo di un centro di comando unificato con a disposizione reparti delle Forze armate, del Genio civile e dei Vigili del fuoco e la responsabilità di gestire gli appalti prima per i prefabbricati e poi per la ricostruzione.
Le ricostruzioni oggi
Pur calati nel presente, i principi di 40 anni fa non sembrano così obsoleti. Se si accetta il principio di ricostruire “com’era, dov’era” – naturalmente cum grano salis e innovazione tecnologica – questo significa, di fatto, avere già un’ipotesi di pianificazione per il futuro. Inutile allora perdere tempo a costruire piani generali; la procedura di legge deve essere abbandonata e il processo urbanistico può essere accelerato invertendo l’ordine dei fattori: si privilegino strumenti attuativi di comparto con il fine primario di avere piani di ricostruzione al più presto possibile perchè la rapidità con cui agire è vitale.
Nelle ricostruzioni post-sisma si è sempe colpevolmente perso troppo tempo nelle prime fasi dopo l’emergenza. E’ importante avviare già nelle tendopoli, con la gente, le prime ipotesi di piani attuativi; “piani probabili” che darebbero una visione del futuro, consolatoria per chi ha perso tutto ma anche programmatica per chi deve gestire la ricostruzione. Quindi l’obbligatorietà del comparto, le procedure urbanistiche speciali e il contributo solidale sono i presupposti necessari anche se non sufficienti per la ricostruzione.
“Piani probabili” per l’emergenza
Già durante la fase di emergenza, avviare fin da subito un approccio di tipo urbanistico-attuativo, non formale e obbligatoriamente partecipato offre a tutti un processo di pensiero, più che una procedura urbanistica, che può rimettere ordine nelle priorità e negli obiettivi da perseguire. Molti sono i punti di forza di questa idea:
L’avvio di una progettazione unitaria di comparto già durante la fase di rilievo dei danni affianca al primo quadro di valutazione statica rilevato, un’ipotesi urbanistica di ricostruzione che apre fin da subito opzioni di intervento diverse e garantisce la condivisione da parte dei proprietari.
Un’idea iniziale di piano consente di orientare lo stesso lavoro di rilievo dei danni e anche le ipotesi iniziali di applicazione delle diverse tecnologie antisismiche possibili.
Avviare immediatamente una fase di pianificazione risponde ai principi dell’urbanistica partecipata che deve tener conto come prima istanza delle intenzioni di ricostruzione dei singoli proprietari e può anche mediare istanze sociali ed economiche della pubblica amministrazione e del progetto della città pubblica.
Con una prima pianificazione “probabile” si possono anche discutere subito tutti gli aspetti di una ricomposizione fondiaria, che è stato uno degli aspetti vincenti nelle ricostruzioni di successo e che in un insediamento antico e stratificato con assetti proprietari complessi, è inevitabile per un ridisegno moderno delle proprietà.
Il risarcimento del danno dovrebbe avere un carattere solidaristico e legato ai comparti urbani, salvo gli edifici singoli isolati. Solidaristico significa che il contributo non deriva da una semplice valutazione del danno e dal riconoscimento dello stesso alla proprietà ma è collegato ad un progetto di cui ne garantisce la realizzazione. Si può ricostruire con risarcimenti singoli ma è difficile che esista una sommatoria di progetti di vita concordi; molti non ricostruiranno, molti lo faranno al grezzo, molti preferirebbero avere un risarcimento ed andarsene. Quindi il progetto di comparto fin dall’inizio deve verificare le esigenze e su queste basare i propri obiettivi.
Si viene a ipotizzare subito un mix di intervento pubblico-privato sulla base del quale si può fondare la progettazione di ricostruzione sapendo con chiarezza gli obiettivi dei singoli ed evitando le illusioni date da promesse di contributi integrali da parte dello Stato che non sono realizzabili, oggi meno di allora. In Friuli, alla fine della ricostruzione, è stato stimato essere di 1 a 1 il rapporto fra le risorse pubbliche erogate e quelle private spese dai singoli proprietari.
Ricostruire sempre tutti i Centri Storici minori
La ricostruzione integrale dei borghi colpiti dal sisma non è solo affermazione identitaria ma è una vera occasione di rinvigorire un territorio scommettendo sul futuro. Dopo 40 anni molti borghi friulani, ricostruiti nonostante al tempo fossero quasi abbandonati, sono ancora manutenuti e funzionali al turismo locale e al presidio del territorio. In Basilicata il fascino di certi paesi rigenerati con i finanziamenti post sisma ’90 è sempre attuale. Il futuro li premierà se rimarranno così.
Come Venzone, i Centri Storici minori sono da considerare, nel loro insieme, veri monumenti nazionali; il futuro non potrà essere solo concentrazione nelle città e la diffusione delle migliori tecnologie sul territorio lo potranno rendere equipotenziale spazio di vita.
Infine non andrebbe dimenticato che la ricostruzione con i suoi cantieri è di per se un potente motore economico locale che coinvolge proprio tutti quei mestieri artigiani del ciclo edilizio oggi fortemente colpiti dalla crisi e pertanto avviare cantieri per ricostruire anche seconde case non abitate ma di memoria storica è di per sé produttore di valore.
La sicurezza è come la bellezza
Obiettivo ancora più importante per la ricostruzione: la posizione degli Ingegneri non può deflettere di un millimetro dal chiedere che il miglioramento della sicurezza sismica degli edifici ricostruiti, riparati o “rigenerati”, sia al 100% e non sia motivo di contrattazione nei decreti di finanziamento, è vietato mercanteggiare sulla sicurezza sismica di un edificio. Anzi incrementarla può diventare un elemento di pregio proprio per quei Centri Storici minori che adeguati totalmente al rischio sismico nella ricostruzione potranno offrire un motivo di attrazione fondamentale: risiedere, andare in vacanza, lavorare in luoghi a “sicurezza sismica incrementata”.
La percezione di sicurezza che una ricostruzione deve dare può diventare quindi un ulteriore fattore di richiamo, alla pari della bellezza dei luoghi.
FONTE: www.ingenio.it
Sorry, the comment form is closed at this time.